Resilienza: più che forza è umanità

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“Devi essere forte. Devi combattere. Devi vincere.” Quante volte mi sono sentita dire queste parole durante il mio percorso oncologico. Parole dette sicuramente con affetto, con l’intenzione di sostenere, ma che spesso pesavano come macigni.

Perché la verità è che nessuno ti insegna ad essere resiliente. E, soprattutto, nessuno ti dice che la resilienza non è sinonimo di forza impenetrabile o di un’eterna positività.

La resilienza è un concetto che affonda le sue radici nella psicologia dello sviluppo e nelle ricerche sul trauma. Inizialmente studiata negli anni '70 e '80, è stata descritta come la capacità di una persona di “rimbalzare indietro” (to bounce back) dopo eventi avversi. Negli studi pionieristici di Norman Garmezy e Emmy Werner, la resilienza veniva osservata nei bambini che, nonostante crescessero in condizioni di forte stress o svantaggio sociale, riuscivano a svilupparsi in modo sano.

Non si tratta, però, di un tratto di personalità immutabile. La resilienza è un processo dinamico, influenzato da fattori interni ed esterni. Questo significa che non nasciamo “resilienti” o “non resilienti.” È una capacità che si costruisce nel tempo, modellata dalle esperienze, dalle relazioni e dal contesto in cui viviamo.

Allora, cosa determina se una persona sarà in grado di rispondere in modo resiliente a un trauma?

Innanzitutto, il supporto sociale gioca un ruolo cruciale. Avere una rete di relazioni solide – amici, familiari, o anche professionisti – può fare la differenza tra sentirsi sopraffatti o sentirsi accompagnati. Ma non è solo una questione di “chi” ci sta accanto (perchè spesso la differenza la fa il “come” l'altro ci sta accanto) è anche il "come" noi affrontiamo le nostre emozioni è fondamentale.

La resilienza non è negare la paura o il dolore, ma accettarli. È il coraggio di guardare in faccia ciò che ci fa soffrire e trovare un modo per conviverci. Ho imparato, sia come paziente oncologica che come psico-oncologa, che le emozioni difficili non sono un nemico da combattere, ma un messaggio da ascoltare.

E poi c’è il corpo. Nel contesto oncologico, il corpo diventa il fulcro dell’esperienza di trauma e resilienza. Non possiamo ignorare che il trauma oncologico lascia tracce fisiche ed emotive profonde. Il corpo trattiene memoria delle esperienze, e il modo in cui rispondiamo ai trattamenti, al dolore, alla fatica, è parte integrante della nostra capacità di resilienza. Pratiche come la mindfulness, il respiro consapevole o il recupero progressivo del movimento e dell'attività fisica possono aiutare a ristabilire una connessione con il corpo, non come nemico, ma come alleato nel percorso di cura.

Ma la resilienza non è solo una questione individuale. Il contesto conta. Crescere in un ambiente che valorizza il dialogo, che incoraggia l’espressione delle emozioni e che non stigmatizza la vulnerabilità costruisce le basi per una resilienza più solida. E anche in età adulta, possiamo coltivare la resilienza creando spazi di ascolto e comprensione, per noi stessi e per gli altri.

Ho capito che la resilienza non è una strada dritta. È fatta di passi avanti e indietro, di giorni in cui ti senti invincibile e altri in cui vorresti solo restare a letto. Ma è proprio in quella danza tra forza e fragilità che si trova la vera resilienza.

E qui entra in gioco la famosa metafora del combattente, tanto comune nel linguaggio oncologico. Per alcuni può essere utile, un simbolo di forza e determinazione. Ma per altri, diventa un peso insostenibile. Perché, se non riesci a vincere, allora sei un fallimento? Il cancro non è una battaglia con un vincitore e un vinto. È un’esperienza complessa, e ogni paziente ha il diritto di affrontarla nel modo che sente più suo.

La resilienza, alla fine, non è un mantello da supereroe. È più simile a una coperta di lana: imperfetta, forse un po’ sfilacciata, ma calda e avvolgente. È il coraggio di sentire, di cadere e di rialzarsi. È accettare che non siamo invincibili, ma che proprio nella nostra vulnerabilità si nasconde una forza autentica.

Se c’è una cosa che vorrei dire a chiunque stia attraversando un percorso oncologico, è questa: non siete soli. Non siete deboli se vi sentite stanchi, spaventati o arrabbiati. Siete semplicemente umani. E in quella umanità c’è una forza che nessuna tempesta può spezzare.