C’è un desiderio che attraversa le relazioni umane più di quanto siamo disposti ad ammettere: il bisogno di essere scelti. Sentirsi la priorità di qualcuno, sapere di occupare un posto speciale nella vita di chi amiamo. Non essere solo una possibilità tra tante, ma l’unica, quella che vale davvero. È un desiderio che tocca tutti, prima o poi. Eppure, per alcuni diventa un’ossessione, una ricerca continua che si insinua in ogni legame, portandoci a inseguire conferme che non bastano mai.
Viviamo in un mondo in cui l’illusione delle scelte illimitate ha ridisegnato il modo in cui entriamo in relazione con gli altri. Social media e app di dating ci danno la percezione di poter avere sempre qualcosa di meglio, da qualche parte. Un’alternativa più compatibile, più stimolante, più perfetta. Così, invece di sceglierci davvero, rimaniamo sospesi in un’attesa indefinita, convinti che investire su una persona sola sia rischioso. Perché puntare tutto su un unico individuo, se potremmo trovare di meglio? Meglio funzionare come una ciabatta multipresa che come una presa della corrente unica. Accumuliamo connessioni, manteniamo porte aperte, coltiviamo possibilità. E nel frattempo, cosa succede alla nostra identità?
Carl Rogers parlava di sé reale, sé ideale e sé percepito. Il sé reale è chi siamo nella nostra autenticità, il sé ideale è chi vorremmo essere, il sé percepito è come crediamo di apparire agli altri. Quando l’incongruenza tra queste tre dimensioni diventa troppo grande, nasce la sofferenza psicologica. E oggi, questa incongruenza è amplificata. Siamo sempre più distanti dal nostro sé reale perché passiamo il tempo a modellarci per essere scelti, per rientrare nei parametri di desiderabilità dell’altro. Filtriamo non solo le nostre foto, ma anche le nostre emozioni, i nostri pensieri, la nostra essenza.
Quanto cambiamo pur di essere “la scelta ufficiale”? Quanto modifichiamo il nostro modo di stare nelle relazioni per rientrare nel desiderio dell’altro? A quante parti di noi rinunciamo? Quante parti del nostro sé ripudiamo? Il problema non è solo non essere scelti, ma quello che siamo disposti a sacrificare per esserlo.
Quando il nostro valore dipende esclusivamente dallo sguardo esterno, rischiamo di trasformarci in qualcosa che non ci appartiene. Cerchiamo di essere più interessanti, più attraenti, più giusti. Diventiamo specchi deformati delle aspettative altrui. Ma se l’autenticità è il prezzo da pagare per essere scelti, allora siamo davvero noi a essere amati? O è solo la versione adattata di noi stessi, quella che abbiamo costruito per non essere scartati?
Il problema non è essere una priorità per qualcuno, ma esserlo per noi stessi. Perché quando smettiamo di inseguire la conferma dell’altro, iniziamo a costruire una presenza dentro di noi che non può essere sostituita.
Forse è proprio questa la grande contraddizione del nostro tempo: vogliamo essere scelti, ma non siamo mai davvero pronti a scegliere. Restiamo in bilico tra il desiderio di essere la priorità di qualcuno e la paura di legarci troppo, di perderci in un legame che potrebbe rivelarsi imperfetto. Eppure, ogni relazione autentica porta con sé un rischio: quello di mettersi in gioco senza garanzie, senza la certezza di non sbagliare, senza la possibilità di controllo assoluto.
Scegliere qualcuno – e sceglierci – significa accettare di non essere sostituibili, ma nemmeno perfetti. Significa restare, anche quando l’illusione di un'alternativa ci fa vacillare. Significa smettere di rincorrere l’idea di un amore privo di difetti e iniziare a costruire qualcosa di reale, con tutto il suo carico di incertezze, imperfezioni e possibilità.
Forse la domanda da farsi non è “quando sarò scelto?”, ma “quando inizierò a scegliermi davvero?”.