Abbiamo detto che non sempre lo stress è nocivo. E che senza stress non si vive.
Numerose ricerche dimostrano che un adeguato livello di stress affina le capacità di attenzione, concentrazione, apprendimento, memoria e di risoluzione dei problemi (Farnè M. , 1999)
Ma come rispondiamo allo stress nella pratica?
La risposta «normale» allo stress è similare a quella osservabile nel mondo animale.
È innata, geneticamente determinata ed attivata e disattivata rapidamente.
Tale risposta è finalizzata a:
- riconoscere il pericolo
- attivare la risposta lotta-fuga, una risposta che cessa quando cessa il pericolo.
Quando la risposta lotta-fuga si cronicizza a causa della molteplicità degli stimoli stressogeni, si trasforma da meccanismo adattivo a fattore di rischio.
Il buon Freud definiva questo, già in tempi non sospetti, il disagio della civiltà. Con la civiltà siamo sottoposti a sollecitazioni croniche, continue, che non danno possibilità di fuga e nei confronti delle quali non è possibile intraprendere un’azione diretta, aperta.
Al fine di fronteggiare una qualsiasi situazione stressante, l’individuo deve compiere due azioni fondamentali: attivare un processo metacognitivo di mastery e mettere in atto strategie di coping.
Per mastery si intende la capacità di definire i propri stati di sofferenza psicologica in termini di «problemi da risolvere», di individuare le operazioni mentali necessarie alla risoluzione del problema nonché la capacità di elaborare ed eseguire strategie adeguate al livello di complessità della situazione.
Il coping può essere definito come l’insieme degli sforzi cognitivi e comportamentali che si attivano per far fronte a specifiche esigenze esterne ed interne che sono vissute come imposizioni, o come superiori alle risorse, o come fortemente divergenti rispetto alle motivazioni personali.
In particolare si fa riferimento a strategie di coping, intendendo quelle modalità che possono essere apprese con l’introspezione di eventi esterni (presa di coscienza), con l’osservazione del comportamento visibile (esplorazione guidata in psicoterapia) e attraverso esercizi di modulazione (tecniche cognitivo-comportamentali).
Quando parliamo di strategie di coping possiamo distinguere tra coping attivo e coping passivo.
Per coping attivo si intende ciò che un individuo fa effettivamente per affrontare una situazione difficile, fastidiosa o dolorosa o a cui comunque non è preparato. E' ritenuto più efficace, dal punto di vista dell'adattamento, quando la fonte dello stress può essere modificata o eliminata.
Per coping passivo si intende Il modo in cui si adatta emotivamente a tale situazione. E' considerato più efficace quando la fonte di stress non è evitabile o il soggetto non ha alcuna influenza su di essa.
Ma perché lo stress nocivo è così diffuso in questo momento storico? Perchè le nostre capacità di mastery e le nostre strategie di coping risultano sempre meno funzionali e adattive?
Partiamo dal presupposto che l’essere umano è un animale relazionale. Nella relazione, ogni essere umano mette in gioco parti di sé.
Le parti più intime e profonde della nostra identità vengono protette e salvaguardate attraverso quelle che vengono chiamate tendenze auto-conservative: cambiamo ma non troppo, siamo ricettivi agli stimoli ambientali ma questi non sconvolgono drasticamente la nostra struttura.
Quando gli eventi ambientali stressanti ci invadono e penetrano i nostri confini più intimi però, rischiamo la spersonalizzazione e la perdita parziale dell’identità.
I sistemi umani sono sistemi “aperti”, cioè per vivere e per “sentirsi vivi” hanno bisogno di scambiare informazioni (cioè stimoli di varia natura e significato).
Se questi scambi sono facilitati, accettati e riconosciuti validi dal contesto, le resistenze ed i livelli di tensione emotiva interna risultano bassi. Le nostre tendenze auto-conservative e le nostre capacità di mastery e coping non sono messe troppo alla prova e "funzionano".
In caso contrario, avremmo livelli di tensione alta, con alta dispersione di energia psichica e fisica.
Nelle situazioni in cui il soggetto permane in uno stato conflittuale di tipo avverso, cioè in una condizione di stallo fra più elementi tutti insoddisfacenti, senza possibilità di uscita o nell’incapacità di modificare gli schemi comportamentali, si assiste ad un innalzamento progressivo dei livelli di tensione intrapsichica. Le nostre tendenze auto-conservative sono messe a dura prova e le nostre capacità di mastery e coping cominciano a vacillare.
Generalmente i meccanismi di difesa psicologici ci proteggono e ci aiutano a gestire gli eventi stressanti.
Ma se gli eventi stressanti sono prolungati nel tempo, senza soluzione di continuità e le difese psichiche non risultano efficaci di fronte alle richieste del sistema, può manifestarsi nell’individuo più vulnerabile un’espressione sintomatica di tipo psicosomatico e/o vere e proprie sindromi psicopatologiche stress correlate.
Tra queste, ad esempio, la Sindrome da Burnout. Di cui vi parlerò nel prossimo articolo.
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